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sabato 7 maggio 2011

Il Canto delle Pietre

Prima di chiamarsi Inyan Hoksi, era un tunka, una pietra sacra.
All’inizio di questa storia sta immobile, immutabile come Wakan Tanka, il Grande Mistero. Aspetta sulla cima di un’alta collina. La sua futura madre è una fanciulla che vive con i suoi cinque fratelli. Si occupa della cucina, raccoglie bacche e legna, taglia e cuce le pelli degli animali cacciati dai fratelli.
Quel giorno i giovani erano passati sul fondo del canyon, dove scorreva un fiume che non conoscevano. Benché adatto a un bivacco, il luogo era parso loro strano e inospitale. Vi avevano piantato l’accampamento e ogni fratello se n’era andato a caccia per conto proprio. La sera, uno di loro non aveva fatto ritorno. La mattina seguente i quattro si erano separati per cacciare e cercarlo. La sera erano rimasti solo in tre e di nuovo erano tornati a separarsi con la paura in cuore. Presto non rimasero che in due, poi in uno, finché la ragazza non si ritrovò sola, inerme e terrorizzata. Abbandonato il canyon, andò errando sull’altopiano deserto. Dopo avere vanamente cercato le tracce dei fratelli, disperata e piangente salì sulla cima di un’alta collina.
Tunka, la pietra sacra, stava posata a terra. Mitakuye oyasin, siamo tutti fratelli: ma lei non lo sapeva. Quella per lei era solo una pietra e, volendo morire, l’ingoiò. Non sapeva che si deve morire per rinascere e che aveva ingoiato un figlio insieme a tutte le nostre tradizioni. Quando ebbe la pietra in seno, la fanciulla si sentì pervadere da un senso di pace. Prese l’otre di pelle e se lo portò alle labbra. L’acqua fresca toccò la pietra e la ragazza sentì con gioia la vita muoversi dentro di lei. Per quattro giorni la giovane madre portò in grembo la pietra senza capire quello che le stava accadendo, poi partorì un bambino. Lo chiamò Inyan Hoksi, il figlio della pietra. Non era un bambino come gli altri. Il primo giorno già camminava e prima di una settimana sapeva parlare. A un anno sembrava un giovane lakota nel giorno della sua prima caccia. Non voleva più mangiare le radici e le bacche selvatiche, né girellare intorno all’accampamento. Voleva andare a caccia.
- Non andare! – lo supplicò la madre, e gli raccontò la triste fine dei suoi cinque zii, tutti scomparsi mentre erano a caccia.
- Non temere, non mi farò prendere come i tuoi fratelli – rispose il figlio, fabbricandosi un robusto arco e una freccia. Poi salì su un picco, staccò una pietra acuminata e l’affilò per renderla ancora più tagliente. Prese un pezzo di corda e la fissò solidamente all’asta della freccia. La giovane madre era terrorizzata.
Mitakuye oyasin, siamo tutti fratelli, ma lei aveva un solo figlio e pensava che tutti i suoi stessero nel cuore del ragazzo.
- Madre, fammi dei buoni mocassini, riempimi l’otre con erbe macerate e scegli i migliori fagioli che hai.
Cucendo la pelle, la madre piangeva e le sue lacrime scendevano sulle erbe facendo brillare i semi. Al momento della partenza, Inyan Hoksi pose una mano sulla spalla e disse sorridendo:
- Madre, preparati al ritorno degli zii.
Partì all’alba. Camminò per tutto il giorno senza fermarsi né voltarsi indietro. La sera sentì l’odore di fumo di un accampamento, vide un tepee e si avvicinò. Sulla soglia stava seduta una vecchia irsuta e deforme. Il suo viso era un fitto reticolo di rughe e disegni. La donna gli offrì ospitalità e gli dette da mangiare carne di bisonte. All’interno del tepee stavano appesi cinque sacchi di pelle, accuratamente chiusi.
- E’ carne non ancora secca! – disse la donna, rispondendo allo sguardo interrogativo del ragazzo.
La notte era calata e si avvicinava l’ora di dormire, ma la vecchia disse che da quelle parti le visite erano rare e che lei aveva molto bisogno di un vigoroso massaggio. Per alleviarle i dolori, il giovane doveva salirle con i piedi sulla schiena calpestandole la spessa e dolorante carcassa: più forte pestava e meglio era. Inyan Hoksi obbedì alla richiesta. Mentre sferzava quella massa imponente, non riusciva a dimenticare i percorsi rugosi del suo viso, di intuirvi dei meandri, delle trappole tracciate su una carta. Nel momento in cui uno dei suoi piedi toccò una vertebra, avvertì una punta, collocata nella schiena, pronta a fendergli la pelle e ad infilzarlo. In un lampo capì come avesse fatto a uccidere i suoi zii e vide che l’unico punto liscio era il collo. Si slanciò verso il fusto del tepee e ricadde con tutto il peso sulla nuca della strega prima che questa estraesse la lancia, uccidendola all’istante. Poi fece un gran fuoco indiano, vi gettò la vecchia e rimestò finché non fu ridotta in cenere. Quando fu tutto finito, udì arrivare il canto delle pietre:

He wami yank, auwe  (Vengono a te)
Tunka kin sitomnya     (Tutte le pietre sacre,)
Wani wank, unwe        (Vengono!)

Inyan Hoksi comprese il canto. Trovò un luogo selvaggio vicino all’acqua fresca, preparò il terreno e costruì la capanna con dodici giovani salici bianchi e spessi strati di pelle. Preparò un letto di salvia. Mise i sacchi all’interno di un grande cerchio. Riportò dall’ovest le pietre arroventate dal fuoco e vi versò sopra l’acqua gelata raccolta in un recipiente: a quattro riprese, per i poteri delle quattro direzioni. Bruciò le erbe come offerta al Grande Spirito. Mitakuye oyasin: mentre il vapore saliva ringraziò le pietre con il canto del mistero. E tutti diventarono fratelli.
- Pila-maye sorelle, grazie di avermi portato qui! Pila-maye, uno per il popolo delle pietre, uno per le piante, un altro per gli animali, Pila-maye, Pila-maye… Guidate i miei passi!
E il canto delle pietre gli disse come fare per riportare in vita gli zii.
Faceva caldo ed era buio. Tra i mormorii degli spiriti Inyan Hoksi scorse delle forme. Versò dell’altra acqua sulle pietre e invocò l’aiuto delle potenze, i poteri del fuoco, dell’aria e della madre terra. Quando ebbe versato l’acqua per la quarta volta, gli zii risuscitarono. Dissero al nipote che era ormai un uomo-medicina, un essere parente di tutti gli esseri.
E uscirono purificati nella luce.
- Le pietre ci guidano e ci salvano. Questo luogo è sacro. Tutte le creature viventi ci stanno accanto.
Riconoscenti, i cinque fratelli unirono le loro voci al canto delle pietre e al canto del mistero del figlio della pietra. Nagi, lo spirito, me l’ha cantato.