Molto tempo fa, quando il mondo era ancora nuovissimo, non c’erano venti, né quelli violenti e gelidi dell’inverno, né le gentili brezze della bella stagione. Tutto era assolutamente immobile, nulla smuoveva le erbe sulle rive e la neve cadeva esattamente verticale.
Vivevano allora, in un villaggio alla foce del fiume Yukon, un marito e una moglie senza figli, cosa che li rendeva assai tristi. Non facevano che sospirare, pensando alla bellezza di avere un figlio che andasse a caccia e pesca, e che li potesse aiutare quando fossero vecchi cadenti, rendendo onori alla loro anima dopo morti.
Una notte la donna fece uno strano sogno, nel corso del quale le apparve una slitta tirata da tre cani, uno bruno, uno bianco e uno nero, che si fermava davanti a casa sua. Il guidatore le fece cenno di accostarsi; lei obbedì e prese posto sulla slitta, e questa subito ripartì levandosi a mezz’aria.
Volarono nel cielo nero, sempre più velocemente, accanto alle stelle che luccicavano come ghiaccioli.
La donna, che dapprima aveva avuto una gran paura, adesso si sentiva tranquilla, perché aveva capito che il guidatore non poteva essere altri che Igaluk, lo spirito della luna, che spesso viene a confortare gli uomini quando sono infelici.
D’un tratto la slitta si fermò, i cani ansimanti si lasciarono cadere per riposarsi su ciò che pareva una distesa di ghiaccio di cui non si scorgeva la fine, tutta liscia e deserta salvo per un alberello secco.
Disse Igaluk alla donna:
«Tu desideri un figlio, vero? Ebbene, guarda quell’albero, prendine
il tronco, fanne un pupazzo e avrai finalmente la felicità».
Prima di poterne sapere di più, la donna si svegliò, e subito riferì il sogno al marito, pregandolo di andare a cercare l’albero.
L’uomo si mostrò piuttosto scettico.
«Sarebbe soltanto un pupazzo, non un bambino di carne e ossa», incredulo.
disse.
Ma la donna continuò a insistere e finalmente il marito, per amore del quieto vivere, si alzò e seguì la moglie alla ricerca dell’albero visto in sogno. Quando lo trovarono, l’uomo lo abbatté con l’ascia e
portò a casa il tronco.
Quella sera, mentr’era intento a intagliare nel legno la figura di un bambino, la moglie si mise a confezionare un vestitino di pelle di foca e, finito che fu il pupazzo, lo vestì e lo mise al posto d’onore, sulla panca lungo la parete davanti all’uscio. Con il resto del legno,
Vivevano allora, in un villaggio alla foce del fiume Yukon, un marito e una moglie senza figli, cosa che li rendeva assai tristi. Non facevano che sospirare, pensando alla bellezza di avere un figlio che andasse a caccia e pesca, e che li potesse aiutare quando fossero vecchi cadenti, rendendo onori alla loro anima dopo morti.
Una notte la donna fece uno strano sogno, nel corso del quale le apparve una slitta tirata da tre cani, uno bruno, uno bianco e uno nero, che si fermava davanti a casa sua. Il guidatore le fece cenno di accostarsi; lei obbedì e prese posto sulla slitta, e questa subito ripartì levandosi a mezz’aria.
Volarono nel cielo nero, sempre più velocemente, accanto alle stelle che luccicavano come ghiaccioli.
La donna, che dapprima aveva avuto una gran paura, adesso si sentiva tranquilla, perché aveva capito che il guidatore non poteva essere altri che Igaluk, lo spirito della luna, che spesso viene a confortare gli uomini quando sono infelici.
D’un tratto la slitta si fermò, i cani ansimanti si lasciarono cadere per riposarsi su ciò che pareva una distesa di ghiaccio di cui non si scorgeva la fine, tutta liscia e deserta salvo per un alberello secco.
Disse Igaluk alla donna:
«Tu desideri un figlio, vero? Ebbene, guarda quell’albero, prendine
il tronco, fanne un pupazzo e avrai finalmente la felicità».
Prima di poterne sapere di più, la donna si svegliò, e subito riferì il sogno al marito, pregandolo di andare a cercare l’albero.
L’uomo si mostrò piuttosto scettico.
«Sarebbe soltanto un pupazzo, non un bambino di carne e ossa», incredulo.
disse.
Ma la donna continuò a insistere e finalmente il marito, per amore del quieto vivere, si alzò e seguì la moglie alla ricerca dell’albero visto in sogno. Quando lo trovarono, l’uomo lo abbatté con l’ascia e
portò a casa il tronco.
Quella sera, mentr’era intento a intagliare nel legno la figura di un bambino, la moglie si mise a confezionare un vestitino di pelle di foca e, finito che fu il pupazzo, lo vestì e lo mise al posto d’onore, sulla panca lungo la parete davanti all’uscio. Con il resto del legno,
l’uomo fece piatti e ciotole di dimensioni adatte a una bambola; e piccole armi, un coltello in miniatura, e una lancia a cui applicò, come usavano gli Eschimesi, una punta d’osso. La moglie riempì i piattini di cibo, le ciotole d’acqua e mise gli uni e gli altri davanti al pupazzo. Prima di andare a letto, marito e moglie stettero ad ammirare la figuretta di legno: benché alto una spanna , era molto somigliante a un essere in carne e ossa, con gli occhietti brillanti fatti di
schegge d’avorio.
Al mattino, quando si svegliarono, il pupazzo era scomparso. Si prenavano dal villaggio. Le seguirono più in fretta che poterono, ma al margine del villaggio le orme terminavano e del pupazzo non si vedeva traccia. Tristi, marito e moglie tornarono a casa.
Il pupazzo, intanto, era giunto al limite orientale del giorno, là dove il cielo scende a toccare la terra e tutto è luce. Volgendo lo sguardo in su, il pupazzo scorse un foro nel cielo, chiuso con un lembo che si curvava verso l’interno, come se dietro una forza scono- cola parte.
sciuta lo stesse spingendo. Il pupazzo cavò il coltello e tagliò le cordicelle che tenevano attaccata la pelle ai margini del foro.
Subito un gran vento penetrò per l’apertura, recando con sé uccelli e animali terrestri. Il pupazzo andò a sbirciare oltre il foro e vide dall’altra parte il paesaggio del Cielo, che era tale e quale quello della
Terra, con montagne, fiumi, alberi e laghi. Quando gli sembrò di aver lasciato che il vento soffiasse abbastanza, rimise la pelle al suo posto, dicendo con tono imperioso:
«Vento, a volte devi soffiare forte, altre piano, altre non soffiare affatto». Poi riprese il suo cammino.
Arrivò al Sud, e vide un’altra apertura del cielo coperta con un lembo di pelle. Il pupazzo tornò a estrarre il coltello e questa volta dal foro uscì un vento caldo che portò un numero ancora maggiore di
animali, alberi e cespugli. Dopo un po’, il pupazzo richiuse il buco, pronunciando le stesse parole di prima.
All’Ovest trovò un altro buco, che però, una volta aperto, lasciò entrare una gran ventata accompagnata da pioggia scrosciante e onda-
te provenienti dal vasto oceano, che si stendeva da quella parte. E anche a quel vento il pupazzo diede ordine di comportarsi come i precedenti.
Quando giunse al Nord, il freddo era tale che esitò ad aprire il solito foro, e quando lo fece entrò una gran bufera di neve e ghiaccio,
gelando il pupazzo che s’affrettò a chiudere il buco tremando.
Dopo aver istruito anche questo vento, il pupazzo decise di tornare
al villaggio natio , dove i genitori adottivi lo accolsero con gioia.
Raccontò loro e agli altri abitanti delle sue esplorazioni e dei venti ai era nato.
quali aveva dato accesso al mondo, e tutti ne furono felici perché i
venti portavano abbondante cacciagione, oltre a smuovere le correnti marine, con la conseguenza che foche e trichechi erano reperibili in gran numero lungo tutte le coste.
Poiché, come aveva predetto lo spirito della luna, il pupazzo aveva portato buona fortuna, da allora venne sempre onorato con particolari cerimonie.
Gli sciamani fabbricavano bambole simili al pupazzo delle quali si servivano per le loro operazioni magiche e anche i genitori ne preparavano per i loro figli, ben sapendo che portavano fortuna a chi le
conservava con cura.
Miti dal mondo - Marco Cazzavillan