sottotitolo

Epica e Miti, Racconti e Leggende

Cerca nel blog

domenica 27 marzo 2011

La nascita di Wainamoinen (dalla prima runa del Kalevala)


Così ho udito raccontare
così il canto incominciare:
sole a noi vengon le notti
e risplendon soli i giorni
e pur solo Wainamoinen
il cantore eterno nacque
da Kave sua genitrice,
da Ilmatar la madre sua.

Kave, la figlia dell'aria,
Luonnotar, vergin leggiadra,
lungo tempo visse pura,
casta sempre si mantenne
nei recinti ampi dell'aria,
nella volta solitaria.

De' suoi giorni sentì noia,
sazietà della sua vita,
di star sempre sola sola
e di viver verginella
nei recinti ampi dell'aria,
nella volta solitaria.

E dal ciel discese in basso,
si calò fin sopra l'onde,
sopra il mar dal chiaro dorso,
sull'aperta superficie.
Venne un vento tempestoso,
da levante un uragano,
sollevò del mar la schiuma
e cacciò sconvolte l'onde.

Cullò il vento la fanciulla,
spinse l'onda la donzella
sopra il mar dal dorso azzurro,
sopra i flutti spumeggianti:
fu dal vento fecondata,
fu dal mare ingravidata.

Portò quella il grave peso,
la penosa gravidanza,
la portò settecent'anni,
per ben nove età d'eroi;
né nasceva ancor quel germe,
increato, dal suo seno.

S'aggirò, madre dell'acque.
Nuotò a oriente, ad occidente,
da maestrale e mezzogiorno,
fin dal cielo sui confini
con il ventre sempre gonfio,
angosciata dalle doglie;
né nasceva ancor quel germe,
increato, dal suo seno.

Prese piano a lacrimare,
parlò allora, così disse:
«Ahimé, poveri miei giorni,
disgraziato il viaggio mio!
a cotesto son venuta:
giù dal cielo son discesa,
perché il vento mi cullasse,
l'onda via mi trascinasse
sopra l'acque ampiodistese,
sopra l'onde sterminate!

«Meglio assai sarebbe stato
viver Vergine dell'aria,
che vagare come adesso,
come madre delle acque:
è penosa qui la vita
per il freddo e la fatica,
soggiornare in mezzo all'onde,
sopra l'acqua camminare!

«Ukko! Ukko, dio supremo,
tu che reggi tutto il cielo!
Vieni qua dov'è il bisogno,
scendi dove ti s'invoca!
Dalle doglie la fanciulla
tu solleva, dai tormenti!
Non tardare presto accorri,
senza indugio mi soccorri!»

Poco tempo era passato,
un momento sol trascorso.
Volò dritta un'anatrella,
una folaga leggiadra
e cercava un posto al nido
ed un posto ove fermarsi.

 Volò a oriente, ad occidente,
a maestrale, a mezzogiorno.
Non trovò luogo nessuno,
non un posto dei peggiori
dove il nido fabbricare,
dove un poco riposare.

Si librava, svolazzava
e pensava e meditava:
«Se nei flutti faccio stanza
e nell'onde dimoranza?
Butta giù la stanza il vento
ed il flutto in un momento».

Ma la madre delle acque,
quella Vergine dell'aria,
un ginocchio alzò dal mare,
sollevò dall'onde il dorso
perché il nido vi posasse,
l'anatrella e si fermasse.

Volò dritta l'anatrella,
svolazzò per ogni verso:
finché scorse quel ginocchio
sollevato sopra l'acqua:
crede' fosse un monticello,
un erboso praticello.

Si librò, con volo lento
si calò sopra il ginocchio.
Il suo nido colà fece,
vi depose l'uova d'oro:
di quell'uova sei son d'oro
ed il settimo di ferro.

Cominciò l'uova a covare,
il ginocchio a riscaldare.
Covò un giorno, covò un altro,
covò ancora il terzo giorno.

Già la madre delle acque,
quella Vergine dell'aria
sentìa caldo sul ginocchio,
come un fuoco sulla pelle;
le pareva che nel ginocchio
si struggessero le vene.

Il ginocchio scosse forte,
alle membra die' uno scrollo:
cadder l'uova dentro l'acqua,
giù piombarono nell'onde;
e si rupper in pezzettini,
si spezzarono in frantumi.

Non si persero nel fango,
non spariron dentro l'acqua.
Preser nuova, bella forma
quei frantumi, quei pezzetti:
la metà del guscio sotto
diventò la madre terra,
l'altro mezzo guscio sopra
si mutò nel firmamento;
quel che c'era sopra, giallo,
brillò in cielo come sole,
quel che bianco c'era sopra
diventò luna splendente;
quel che c'era di screziato
brillò in cielo come stelle,
quel che l'uovo avea di scuro
diventò nube nell'aria.

Ed i tempi vanno innanzi,
scorron gli anni un dopo l'altro
col brillar del nuovo sole,
con lo splender della luna.
Sempre nuota la fanciulla,
erra la madre dell'acque,
nuota in mezzo all'onde chete,
ricoperte dalla nebbia,
l'acqua limpida ha dinanzi
e di dietro il cielo chiaro.

Nove anni al fin trascorsi,
giunta la decima estate
sollevò dal mar la testa,
alzò il capo sopra l'onde.
A crear prese, a produrre,
a far opra di creatrice
sopra il mar dal dorso azzurro,
sull'aperta superficie.

Dove la mano stendeva,
facea sorger promontori;
dove il piede suo premeva,
ecco buche per i pesci;
si tuffava, e più profondi
si scavavano gli abissi.

Se volgeva il fianco a terra
si stendevano le sponde;
se voltava a terra il piede
ecco fosse da salmoni;
se piegava il capo a terra
s'allargavan tosto i golfi.

Nuotò poi più là da terra,
si sdraiò del mar sul dorso:
d'isolette sparse il mare,
vi creò scogli nascosti
dove la nave sprofonda,
dove muore il marinaro.

Eran l'isole già sparse,
già creati in mar gli scogli
e del ciel sorti i pilastri,
terra e campi con magia,
già dipinte eran le pietre,
nelle rupi i solchi incisi.
Non ancora Väinö nato
era, quel cantore eterno.

Dalla madre in seno il vecchio
Väinämöinen si agitava,
si movea per trenta estati
e per altrettanti inverni,
sopra l'acque silenziose,
ricoperte dalla nebbia.

E pensava, rifletteva
qual sarebbe la sua vita
nell'oscuro nascondiglio,
dentro l'angusta dimora,
dove luce mai non entra
né di luna né di sole.

Disse allor queste parole,
pronunziò questo scongiuro:
«Mi togliete, Luna e Sole,
Orsa, libero deh fammi
da coteste porte strane,
dai cancelli sconosciuti,
sì ch'io lasci il piccol nido,
la dimora stretta e angusta!
Vada, uomo, sulla terra,
d'uomo figlio, goda l'aria,
possa in ciel mirar la luna
e del sole i vivi raggi,
possa l'Orsa salutare
e le stelle contemplare!»

Ma la Luna non lo sciolse,
non lo fe' libero il Sole;
ebbe allora in uggia i giorni,
in fastidio la sua vita:
del castel scosse la porta
con il dito senza nome,
guizzò pel lucchetto d'osso,
vi passò col pie' sinistro;
dalla soglia uscì con l'unghie
e dall'atrio col ginocchio.

Fece un tuffo a capo fitto
e le man voltò nell'onde;
e del mare restò l'uomo
in balia, l'eroe de' flutti.

Posò là per cinque anni,
per cinqu'anni, anzi per sei,
e per sette, per ott'anni,
finché si fermò vicino
a una punta senza nome,
a una terra senza arbusti.

Sorse allora sui ginocchi,
s'appoggiò sopra le braccia,
s'alzò per mirar la luna,
per goder del sole i raggi,
volle l'Orsa salutare
e le stelle contemplare.

Così nacque Wainamoinen,
così fu quel vate ardito
dalla Vergine dell'aria,
da sua madre partorito.


http://bifrost.it/FINNI/Fonti/Kalevala01.html#105-107

Mito finnico(?) della creazione 
Durante le epoche primordiali, una fanciulla, la bella figlia dell'Etere,
Passato per secoli la sua esistenza nel'immensa distesa celeste,
Sopra le praterie ancora avvolte (?). Faticosamente la fanciulla cresceva, la sua esistenza triste e priva di speranza, a causa della sua (secolare) solitudine, vissuta nelle infinite distese dell'aria sopra il (mare di gomma piuma)

http://www.sacred-texts.com/neu/kveng/kvrune01.htm 

...Il dio-Sole uscì dall'uovo di un'oca chiamata la Gran Chiacchierona...

Quadri di civiltà - Vittoria Calvani (libro didattico)