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Epica e Miti, Racconti e Leggende

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giovedì 7 aprile 2011

Il mito di Fetonte


Apollo (Elios), dio del Sole innamoratosi di Climene, la fece sua sposa. Dalla loro unione nacquero Fetonte (lo splendente), Egle (la luce), Lampezia (la brillante) e Faetusa (colei che illumina). Fetonte fu allevato senza sapere l’identità di suo padre. Quando, ancora in tenera età, scoprì  finalmente la verità, il giovane partì alla ricerca di Apollo e, arrivato al suo palazzo si presentò. Il padre fu entusiasta di conoscerlo e gli promise che avrebbe esaudito il suo più vivo desiderio*. Il ragazzo gli chiese di poter guidare il carro solare per un giorno. Apollo inizialmente non volle accontentare il figlio ma, visto anche le insistenze della consorte, Apollo, dopo averlo istruito, gli consegnò il carro*.
Fetonte, non possedeva la forza necessaria per condurre le redini, ed i cavalli, accortisi che il giovane era inesperto, gli presero la mano e deviarono rispetto al percorso consueto. Dapprima, planarono nella volta celeste, la bruciarono, e diedero origine alla Galassia (Via Lattea), talvolta rischiando di dar fuoco alla sede degli dèi (nell'olimpo) dopodichè, incendiato largamente gran parte del mondo, bruciarono anche non una piccola porzione di suolo, formando il deserto libico (e cocendo il sangue degli indiani, che di conseguenza divennero neri).
Giove (Zeus) medesimo (sentendo le urla di dolore della terra), adiratosi a causa dei fatti accaduti, colpì con lo strale (saetta) Fetonte, (ed in seguito ripristinò il sole sul suo abituale percorso).
La madre, le sorelle e Cicno, giovane re dei Liguri amico di Fetonte, partirono per recuperare il corpo del giovane Caduto alla foce del fiume Eridano (l'attuale Po') e qui piansero la sua fine con grandissimo onore* , finché a causa di quest'eccesso di dolore, la loro natura fu mutata, trasformando loro, le Eliadi in pioppi*. Queste piante piangono ogni anno nella medesima stagione, le lacrime, induritesi, si mutano in splendida ambra, usata in connessioni con lutti per la morte di giovani. Cicno fu trasformato in cigno e trasportato in seguito nelle costellazioni*. Fetonte, venne successivamente mutato nella costellazione dell'Auriga*.
Apollo, addolorato, non volle più guidare il carro solare e Giove dovette usare sia le buone che le cattive maniere per costringerlo a riprendere la guida del suo carro.

* Versioni raccontano di come Fetonte volle guidare il carro per dimostare agli amici come egli fosse veramente il figlio del dio del sole.

* Igino narra invece di come Fetonte "dopo essere di nascosto montato sul carro del padre ed essersi sollevato molto in alto da terra, per terrore precipitò nel fiume Eridano".

* Altre versioni affermano che l'eridano venne direttamente innalzato alla volta celeste, formando la appunto la costellazione eridano, situata sotto la pianta del piede sinistro di Orione.

* Vennero così trasformate anche per la pietà degli dei causata dal loro pianto.

* Cicno compare solo nella versione latina del mito.

*La costellazione Auriga non viene attribuita solamente a Fetonte, ma a svariati personaggi della mitologia greca.



Diodoro Siculo
Fabulae, Fetonte - Igino
http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Fetonte
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_f.htm
http://ilboschetto.altervista.org/?Il_Grande_Fiume:Il_mito_di_Fetonte

lunedì 4 aprile 2011

venerdì 1 aprile 2011

domenica 27 marzo 2011

Colui che vive al di sopra


La Creazione

Sul dorso di una tartaruga


La nascita di Wainamoinen (dalla prima runa del Kalevala)


La donna che vive di pioggia

 Mito Africano
Kapinga non aveva moglie. Un giorno incontrò una donna e la portò a casa. La donna non voleva mangiare, perché il marito non sapeva il suo nome. Kapinga girando incontrò Kakulutu Kamunto che gli disse il nome della moglie cioè Tumba. Kapinga e Tumba andarono al villaggio del padre della donna. Arrivati, restarono a lungo. Dopo un po' Kapinga volle tornare a casa e il capo del villaggio (il padre di Tumba) gli disse di ritornare a prendere sua moglie in un giorno di pioggia. Kapinga acconsentì e dopo tornò a casa.
Dopo qualche tempo di siccità il marito si diresse al villaggio di sua moglie. Arrivato non trovò nessuno, ma vide dei sassi; ne prese uno e affilò il suo coltello e poi tornò a casa. Quando cominciò a piovere Kapinga tornò al villaggio di Tumba e incontrando gli abitanti chiese di riavere sua moglie, ma il padre gli negò il permesso perché quando era andato al villaggio durante la siccità, affilando il suo coltello su quel sasso aveva fatto una grossa ferita al capo villaggio perché quel sasso era lui. Kapinga tornò a casa senza moglie.

http://www.racine.ra.it/didaqua/testi/dil1.htm

Il Diluvio Indiano

Una mattina Manu, mentre si lavava le mani, si ritrovò in mano un pesciolino che lo implorò di proteggerlo, dicendogli "Tirami su, Io ti salverò". La ragione diceva che quel pesciolino sarebbe caduto facilmente preda dei pesci più grandi e aveva bisogno di protezione finchè non fosse cresciuto. Gli chiese di essere messo in un vaso; poi, quando divenne troppo grande, in uno stagno, e infine nel mare. Manu si comportò di conseguenza.
Un giorno il pesce avvertì Manu che la marea si stava alzando, e gli consigliò di preparare un nave in cui entrare quando fosse arrivato il diluvio. All'ora annunciata, la marea cominciò ad alsarsi, e Manu entrò nella nave. Il pesce gli fece allora incontro, nuotando, ed egli legò la cima della nave al suo corno arrivando così tranquillamente alle lontane montagne del nord. A Manu fu detto allora di salire sulla montagna, dopo aver fissato la nave a un albero, e di scendere soltanto quando le acque fossero calate. Egli scese gradualmente, e da allora il versantwe di quella montagna è detto Manoravataranam (ugh!), ovvero discesa di manu. Le acque spazzarono via tutti e tre i cieli, e si salvò soltanto Manu.

Storia dell'India - John Keay (La civiltà di Harappa)

La dea del mare

Tanto tempo fa, prima dell’uomo bianco e di tutti gli altri, gli Inuit cacciavano sulla terra e pescavano nel mare. A quei tempi v’era un grande cacciatore, la cui moglie era morta molto tempo addietro, lasciando una figlia piccola, Sedna. Fu lo stesso cacciatore, padre della bambina, a crescerla da solo. Non v'era altra compagnia di quella della figlia e del suo fedele cane.

Dalla Terra al Cielo

C'erano solo le tenebre. Le tenebre e lui: Corvo, piccolo e debole. Ma non era bello star lì, nel buio e nel silenzio, senza far nulla; così Corvo, troppo giovane per volare, cominciò a saltellare intorno. E a ogni saltello nascevano montagne e foreste, fiumi e ruscelli. Corvo guardava stupito quelle meraviglie, senza capire che era lui stesso a crearle, e si spingeva sempre più lontano. A un tratto giunse alla fine del Gelo e sì trovò davanti a uno spaventoso baratro. Ebbe paura di cadere e apri le ali. In quel momento sentì che esse erano diventate grandi e forti, in grado di sostenerlo. Allora comprese che egli era Tulugaukuk, il Corvo padre. Si lanciò in volo nell'abisso e ne raggiunse il fondo, ancora buio e vuoto. E Corvo creò in basso le stesse cose che aveva creato in alto. E chiamò Terra il mondo in basso e Cielo il mondo in alto. Poi Corvo prese un sasso lucente e lo lanciò nel Cielo. Subito il sasso divenne Sole e illuminò ogni cosa. Un giorno, mentre se ne andava in giro ad ammirare la sua creazione, vide una grande pianta di pisello, alta più di un albero, con baccelli enormi.
Corvo si fermò sorpreso e, ad un tratto un baccello s'aprì di colpo... e ne usci un uomo! Corvo, che non aveva mai visto una tale creatura, fece un balzo indietro. Ma anche l'uomo, che non aveva mai visto un corvo, si spaventò. Passata la sorpresa, Corvo chiese all'uomo: «Hai fame?» L'uomo di fame ne aveva, e anche tanta. Allora Corvo gli indicò un arbusto e gli disse: «Mangia le bacche di quell'arbusto!» L'uomo ci provò, ma dopo averle mangiate tutte aveva più fame di prima. Allora Corvo prese dell'argilla e modellò buoi muschiati e caribù, che subito si misero a galoppare per la prateria. Poi diede all'uomo arco e frecce per cacciare, dicendo: «Non uccidere troppi animali, altrimenti diverranno pochi e tu avrai di nuovo fame». L'uomo ebbe rispetto per gli animali creati dal Corvo, ed essi gli furono amici. Passarono molti anni. Gli uomini divennero avidi e uccidevano sempre più animali. Corvo osservava indignato, finché risalì alle praterie del Cielo e non scese mai più sulla Terra. Un giorno, quando gli uomini saranno di nuovo amici di buoi e caribù, Corvo tornerà.


http://www.ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Tulugaukuk

Il corvo che portò la luce


Sora Sole, Frate Luna


L'origine della luce


Tulugaukuk


Il mito di Osiride

Si racconta che Nut si fosse unita nascostamente con Geb, che Rà si fosse accorto di ciò e avesse pronunciato contro di lei la maledizione di non poter generare figli né in un mese né in un anno.

Il mito omerico e orfico della creazione


sabato 26 marzo 2011

Popul vu


Il mito di Atlante

Atlante era un gigante, figlio di Giapéto e di Asia, che, per avere aiutato altri Giganti nella rivolta contro Giove, fu da questi condannato, là dove tramonta il Sole, a reggere sulle spalle il peso del mondo. Egli possedeva il Giardino delle Esperidi, dove crescevano i famosi pomi aurei. "Ercole chiese ad Atlante di poterne cogliere qualcuno. Atlante, che aveva intenzione di fargli pagar caro tanto ardimento, si offerse di andare egli stesso a coglierne tre, purché, nel frattempo, l'altro reggesse, in sua vece, il mondo". "Ma quando Ercole si fu addossato quel po' di peso, l'altro non volle più riprenderselo. Ercole, che, in fatto di furberia non era meno da lui, finse di rassegnarsi: solo pregò Atlante di prendere il suo posto finché egli si fosse fatto un guanciale per attutire il grave peso del mondo.
Atlante ci cascò e il resto s'indovina. Prima che Giove gli avesse imposto quell'incomodo gravame, Atlante aveva avuto tutto il tempo per assicurarsi una assai numerosa discendenza.
Da Pleiòne, aveva generato le Pleiadi, sette; da Etna, le Iadi (cioè piovose, perché apparivano in cielo al cominciare della stagione delle piogge), altre sette; da Esperide, le Esperidi che custodivano i giardini dello stesso nome, altrettante…
Capitò, da lui, al ritorno dall'impresa della Medusa, Persèo e gli chiese ospitalità. Atlante, memore di un vaticinio secondo cui sarebbe stato privato dell'oro da un figlio di Giove, non solo gli negò l'ospitalità, ma anzi cercò di scacciarlo con la maniera forte. Allora Persèo, mostrandogli la testa della Medusa, pietrificò Atlante che così diventò la montagna che porta ancora il suo nome".




Quando si dice portare il peso del mondo sulle spalle...
Da notare come la copia romana di stampo ellenistico (i greci erano soliti costruire statue in bronzo che puntualmente veniva fuso e riciclato) presenti il mondo come un globo.

Morelli - Dei e Miti - Ediz. Fratelli Melita

Mito della creazione eliopolita

Al principio sono le acque di Nun, il caos nelle cui profondità giacque addormentato lo spirito del creatore.

Il mito pelasgico della creazione

All'inizio Eurinome, Dea di Tutte le Cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde.

Mot, l'uovo di fango


Antico Testamento, Genesi

Nel principio Iddio creò i cieli e la terra. E la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. E Dio disse: 'Sia la luce!' E la luce fu. E Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre. E Dio chiamò la luce 'giorno', e le tenebre 'notte'. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il primo giorno.

Genesi cinese

Da principio la terra con le sue montagne, i suoi fiumi e i suoi mari, il cielo col sole, la luna e le stelle erano una cosa sola, e questa era il caos.
Nulla aveva ancora preso forma , tutto era come un oscuro turbine rotante che continuava a girare, a girare
vorticosamente.
Per innumerevoli anni questo fu il modo di essere dell’universo, qualcosa di oscuro e d’informe, fino a quando, dal mezzo del caos, venne P’an Ku. Lentamente, pian piano, egli crebbe e si sviluppò nutrendosi degli elementi, ad occhi chiusi, addormentato in un sonno profondo che durò diciottomila anni.
Tutto quel vorticare cessò ed ebbe inizio un nuovo genere di movimento.
Non più trattenute, tutte le cose che erano per loro natura leggere e pure si sollevarono verso l’alto; tutte quelle pesanti e grossolane sprofondarono in basso. Con un solo colpo possente P’an Ku aveva liberato il cielo e la terra. Ora P’an Ku si trovò coi piedi sulla terra e il cielo restò sopra il suo capo. Rimase così a lungo fra i due che essi non poterono più riunirsi. E, mentre P’an Ku restava in quella posizione, le cose continuarono a sollevarsi e a cadere secondo la loro natura. Per ogni giorno che passava la terra aumentava di dieci piedi il suo spessore e altrettanto si alzava il cielo, spinto com’era sempre più lontano dalla terra per mezzo del corpo di P’an Ku che ogni giorno cresceva a sua volta di dieci piedi di altezza.
E infine venne il momento in cui P’an Ku si destò dal sonno. Aprì gli occhi, ma non riuscì a veder nulla, nient’altro che buio e confusione.
Allora s’infuriò, sollevò il suo gran braccio e ,fendendo ciecamente le tenebre, con un colpo strepitoso, sparpagliò intorno gli elementi del Caos.
P’an Ku continuò a crescere per oltre diciottomila anni finchè il suo corpo divenne gigantesco, e la terra ebbe assunto uno spessore massiccio, mentre il cielo si era sollevato a grande altezza.
P’an Ku, alto ormai migliaia di chilometri, costituiva adesso una immensa colonna che separava la terra dal cielo, così che questi non poterono più mescolarsi insieme e dissolversi di nuovo in un unico caos.
Egli rimase così per lungo tempo fino a quando ebbe la certezza che la terra e il cielo erano ben saldi al
loro posto.
Giunto il momento, P’an Ku che aveva ormai compiuto il proprio compito, si mise a giacere sulla terra per riposare, e così, riposando, morì.
Ora egli, che durante la vita aveva portato l’universo a prendere forma, offrì dopo la morte il proprio corpo
per rendere il mondo ricco e bello.
Donò il suo fiato per formare i venti e le nuvole, la voce per il rotola del tuono, i due occhi perchè venissero sole e luna, i capelli del capo e la barba perchè si trasformassero in tante stelle, il sudore della fronte per farne pioggia e rugiada. Alla terra diede il suo corpo per le montagne, e le mani e i piedi perchè divenissero rispettivamente i due poli e le estremità dell’oriente e dell’occidente. La sua carne formò il terreno dei campi e i peli del suo corpo crebbero trasformandosi in fiori e alberi.
Quanto alle ossa e ai denti, essi sprofondarono nel sottosuolo per arricchirlo di minerali preziosi. E fu
così che P’an Ku fece sbocciare dal Caos i cieli in tutta la loro gloria e il loro splendore.




Fonte: boh!

Izanagi e Izanami

All'inizio di tutto c'erano tre divinità 'Kami', invisibili: Amanominakanushi "Il Signore del Paradiso", Takamimusubi
e Kamimusubi. Dopo di loro si aggiunsero due altre divinità minori: Umashiashikabihikoji e Amanotokotachi.
Queste cinque divinità erano chiamate "Separate Divinità Celesti". A loro seguirono sette generazioni di
Kami maschili e femminili.

A quel tempo la terra era ricoperta da un brodo primordiale.
Gli dei scelsero i due kami più giovani, Izanagi e Izanami, fratello e sorella, per creare il mondo e, a
questo scopo, donarono loro una lancia ingioiellata. Dal ponte celeste, che collegava la Terra al Paradiso, Izanagi agitò il fango primordiale con la lancia da cui, una volta ritratta, caddero delle gocce di acqua salata. Da queste gocce nacque l'isola di Onogoro. Le due divinità
scesero quindi sulla terra e andarono a vivere sull'isola. Si sposarono ed ebbero 8 figli, che poi divennero le 8 isole del Giappone: Sado, Yamato (Honshu), Oki, Tsushima, Iki, Tsukushi (Kyushu), Iyo (Shikoku) e Awaji (da notare che non ci sono Hokkaido ed Okinawa che entrarono a far parte del Giappone molto più avanti).
Successivamente ebbero altri figli, ma durante il parto del dio del fuoco Kagutsuchi, a causa delle bruciature riportate, Izanami morì e venne sepolta presso il Monte Hiba. Izanagi, folle di rabbia, uccise Kagutsuchi e questo fatto portò alla nascita di dozzine di altre divinità e altre nacquero dalle lacrime di Izanagi stesso il quale decise di intraprendere un viaggio nel regno dell'Oltretomba, Yomi-tsu kuni, per
cercare di portare indietro l'amata sposa e sorella.

A Yomi regnava l'oscurità, ma riuscì a trovarla e, dopo tante insistenze, a convincerla a tornare nel mondo dei vivi. Quando il dio, finalmente, accese una torcia vide il corpo della moglie ormai in putrefazione e coperto di vermi: non esisteva più niente della bellezza di un tempo. In preda al terrore Izanagi fuggì inseguito da demoni che Izanami gli lanciò dietro con il compito di riportarlo da lei. Alla fine Izanagi uscì da Yomi e coprì l'imboccatura di Yomi con una grossa pietra. Dall'interno la dea, piena di rabbia, gridò che avrebbe ucciso 1000 persone per ogni giorno senza il marito il quale rispose che per ogni giorno di lontananza avrebbe fatto nascere 1500 uomini. Fu così che nacque la Morte fra gli uomini. Izanami divenne il kami del mondo dei morti.


Una volta scampato il pericolo, Izanagi senti il bisogno di purificarsi e di ripulirsi da tutto il sidiciume incontrato a Yomi: si immerse nel fiume e cominciò a lavarsi. Ad ogni suo gesto, ad ogni veste che si toglieva, nascevano nuovi kami, ma tre di loro erano i più importanti e divennero protagonisti di molte successive storie della mitologia nipponica: Amaterasu, che nacque dall'occhio sinistro di Izanagi, Tsuku-yomi, dall'occhio destro, e Susano-ò che usci dal naso.
Izanagi decise di dividere il mondo tra questi tre fratelli: Amaterasu divenne la dea del Sole e dei Cieli, a Tsuku-yumi divenne il dio
della Luna e della notte e al fratello Susano-ò spettò il regno del mare e delle tempeste.
Discendente della dea del Sole Amaterasu sarà poi il primo imperatore del Giappone, Jimmu, e poi tutti gli imperatori successivi compreso Akihito, l'attuale Imperatore.






http://tuttogiappone.myblog.it/archive/2009/04/29/i-mito-della-creazione.html

Il maestro di spada e i suoi tre figli

La creazione di Kichi Manido (mito ojibwe)



venerdì 25 marzo 2011

Crizia (dialoghi di Platone)

TIMEO
Con quanta gioia, o Socrate, come se riposassi dopo un lungo cammino, mi libero ora volentieri del corso del ragionamento. [1] Quel dio, [2] nato un tempo nella realtà e ora nato da poco a parole, io prego che ci garantisca la conservazione, tra tutto ciò che è stato detto, di quelle cose che sono state dette con misura, e se, senza avvedercene, dicemmo qualcosa di stonato su di loro, di infliggere la giusta pena. Ma giusta punizione è rendere intonato colui che stona; affinché dunque in futuro facciamo discorsi corretti sull'origine degli dèi, preghiamo di fornirci la conoscenza, potentissimo ed efficacissimo tra i rimedi. Dopo aver così pregato, lasciamo, conformemente a quanto convenuto, il seguito del ragionamento a Crizia.

Timeo (dialoghi di Platone)

SOCRATE
Uno, due, tre: e dov'è, caro Timeo, il quarto [1] di quelli che ieri invitai a pranzo e che oggi mi invitano?
TIMEO
Si è ammalato, Socrate: certamente non si sarebbe assentato di sua volontà da questo incontro.
SOCRATE
è dunque compito tuo e di costoro svolgere anche la parte che spettava all'assente?

Mito della creazione Maya


Coyote il mandrillo (Sioux, nez-percè , athapascan)

Coyote non ama solo ficcare il suo naso dappertutto.Possiede un altro organo molto sviluppato di cui usa e abusa senza moderazione. Eh si, al nostro astuto sciacallo amerindio piace molto far quello.
In altre parole, è un gran mandrillo! Sua moglie non gli basta. Non appena vede una bella squa, deve possederla.
Oh, non per molto, solo il tempo di un assaggio. alcuni dicono sia stata propio quell'inclinazione smodata per il sesso a renderlo così furbo. La sua mente è sempre all'erta. Per raggiungere i propi scopi, deve dispiegare tesori di ingegnosità, inventare strategie sapienti, vere astuzie da Sioux! Del resto corre spesso rischi insensati.
Però Coyote non è poi così egoista come sembra. Ama procurare piacere, far approfittare la partner della sua immensa esperienza.

Mamma mia dammi cento lire

La saggezza africana

La montagna che arriva al Cielo

La Torre di Babele

La cosa più preziosa al mondo...

Wilhelm Tell